Il Training Autogeno come alleato nella gestione dei sintomi della vulvodinia

L’importanza di un approccio psicologico nelle donne con vulvodinia è ampiamente riconosciuto e sono vari i trattamenti consigliati, da associare a una terapia farmacologica, al fine di gestire la patologia nei periodi in cui i sintomi sono più insopportabili.
Ma la psicoterapia permette anche di acquisire una più autentica consapevolezza del proprio corpo, utile nel prevenire le ricadute, andando a sradicare comportamenti maladattivi acquisiti nel tempo.
Tuttavia, molte donne e ragazze sono restie nel prendere in considerazione un approccio del genere come reazione all’etichetta psicosomatica che viene spesso attribuita, erroneamente, a questa patologia.
Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Alice Spallone, psicologa e psicoterapeuta.

Una delle curiosità che le avremmo chiesto, in quanto specialista che si occupa di vulvodinia, è quando ha incontrato per la prima volta questa patologia. Nel suo caso la risposta è particolare…

(Domanda) Dal punto di vista emotivo, cosa significa per una donna avere la vulvodinia?
(Risposta della Dott.ssa Spallone) La vulvodinia è una malattia che causa un forte disagio nella vita di una donna. Il primo vissuto è certamente quello della solitudine e dell’incomprensione. Troppo spesso questo problema viene etichettato come psicologico (“è tutto nella tua testa!!!”, “sei fissata”, “esageri !”) e questo non rende conto della “parte organica” del dolore e delle cause (sempre multifattoriali) di una malattia, ma soprattutto non tiene conto della persona che si ha di fronte. Una donna che convive giorno e notte, spesso per anni, con una sofferenza enorme si sentirà giudicata e poco creduta se tale sofferenza viene catalogata come una sorta di “sindrome da stress mentale”; questo atteggiamento la metterà sulla difensiva bloccando immediatamente la possibilità di aiutarla.
Un altro vissuto è quello della vergogna. Io stessa ho sperimentato questa emozione, dalla quale ho cercato per anni di scappare. Anche solo nominare la parola vulvodinia mi provocava immediatamente un senso di inadeguatezza e di disagio.
Questa sensazione svanisce di fronte ad una persona che ha vissuto la tua stessa patologia. Per questo motivo ho deciso di fare questo lavoro, per aiutare le donne che come me vivono o hanno vissuto questo disagio.
Anche la rabbia, la paura e la disperazione sono vissuti comuni a noi donne con la vulvodinia.

Può la psicoterapia aiutare le donne con la vulvodinia?
Sì. Questo non significa, ripeto, che questa sia una patologia di origine “mentale”. La psicoterapia è spesso fondamentale per diversi motivi:

– La vulvodinia innesca un meccanismo di ansia e depressione che peggiora la tensione muscolare già presente nel corpo. Mente e corpo infatti si influenzano reciprocamente: il dolore che proviamo ci procura stress continuo e tensione “mentale” che a sua volta porta i muscoli del corpo a contrarsi ulteriormente.

– Le emozioni come la rabbia, la frustrazione e la paura, se non espresse, rimangono ingabbiate nel corpo sotto forma di tensioni muscolari

Il poter parlare con una donna e professionista che ha vissuto sulla sua pelle la stessa patologia crea da subito una forte empatia che è già di per sé terapeutica.
In poche parole esiste il dolore fisico, il sintomo, e poi esiste la sofferenza. La sofferenza di noi donne con vulvodinia corrisponde al cambiamento radicale che la malattia comporta nella vita personale, lavorativa e di coppia. E’ quest’ultima che fa star male la donna ancor più del suo stesso sintomo.

Esistono tecniche specifiche per lenire il dolore fisico?
Sì esistono, alcuni esempi che utilizzo personalmente sono le suggestioni ipnotiche, il rilassamento frazionato e il Training Autogeno. Queste agiscono mettendo innanzitutto la donna in ascolto del proprio corpo e in particolare delle tensioni muscolari. La mente e le rappresentazioni mentali (l’immaginazione) hanno un potere enorme e sono in grado di suscitare reazioni fisiologiche nel corpo aiutandolo a registrare nuove memorie.

Nuove memorie?
Sì il corpo ha una sua capacità di memoria. Ricorda specialmente i momenti intensi dal punto di vista emotivo. Questo vale quindi per i ricordi carichi di dolore o paura, così come per quelli piacevoli.
Il corpo memorizza imparando alcune reazioni di “difesa” che possono manifestarsi con l’aumento del battito cardiaco e della frequenza respiratoria, delle tensioni muscolari e della peristalsi intestinale. Se per lungo tempo il corpo registra dolore o paura tenderà a essere sempre più contratto e chiuso, e questo sarà visibile anche nella postura e nel suo modo di essere. Per questo è così importante che la psicoterapia sia anche e soprattutto incentrata sul corpo.
Il Training Autogeno è una tecnica in grado di modificare il sistema nervoso autonomo attivando il sistema parasimpatico e generando una sensazione di calma e rilassamento che diventa “autogena”, automatica per il corpo, e che può essere quindi utilizzata in tutte le situazioni di tensione e paura, come anche prima o dopo i rapporti sessuali.
Ma la cosa più importante di tutte, secondo me, è che la donna con vulvodinia ricominci a prendere contatto con il proprio corpo, a considerarlo il suo posto sicuro, invece che combatterlo o rifiutarlo, perché lo stesso corpo che produce dolore è quello che può farci sperimentare il piacere e la gioia di vivere.

Può dirci come vive la sua esperienza da paziente e da terapeuta?
Aiutare queste ragazze è per me appagante e soprattutto naturale.
Ritrovo sempre un pezzetto di me e della mia storia. Le loro lacrime sono le mie, le loro paure sono le mie di qualche anno fa. E’ come se entrassi in una casa che conosco da sempre: conosco le stanze, gli odori e i colori, so come muovermi, quando accelerare, se fermarmi ad esplorare in silenzio, e so quando è troppo ed è il momento di chiudere la porta e uscire a prendere aria!
Tutte le tecniche che utilizzo le ho sperimentate su di me e sul mio dolore.
Ritengo che uno degli aspetti più importante sia quello della condivisione autentica. Per questo motivo risultano molto utili anche gli incontri di gruppo, online o in presenza, associati eventualmente ad un percorso di terapia psicocorporea individuale.

Cosa si sente di consigliare, come donna e come terapeuta, a una donna che ha appena ricevuto la diagnosi?
Da un punto di vista emotivo la diagnosi procura reazioni contrapposte, da una parte il sollievo: il poter dare un nome a ciò che proviamo ci fa sentire immediatamente comprese e alleggerite. Viene meno, infatti, il peso di cercare da sole una spiegazione ai nostri sintomi, spesso confusi e mescolati. La diagnosi rappresenta, quindi, un contenitore nel quale la paziente può sentirsi finalmente riconosciuta e accolta.
Dall’altra parte possono aumentare la paura e la tristezza, perché la malattia diventa reale e concreta. Quei sintomi, spesso presi per infezioni passeggere, diventano una patologia vera e propria che ha a che fare più con un meccanismo interno al nostro corpo che ad un certo punto ha smesso di funzionare correttamente.
Ad una ragazza che ha appena ricevuto la diagnosi direi che è normale sentirsi tristi e allo stesso tempo sollevate. Che è stato così anche per me, ma che è anche il punto di partenza verso la cura e la guarigione.

Grazie Dottoressa per le sue parole così autentiche e in grado di descrivere perfettamente lo scombussolamento emotivo che questa patologia può innescare.
Molte donne si riconosceranno in quanto scritto e speriamo che nel leggere quanto siano comuni certi stati d’animo possano sentirsi un po’ meno sole.