Diventare madre è un’esperienza unica nella vita di una donna. Le emozioni connesse a questa esperienza sono molteplici, molte condivise, altre soggettive. Tra le emozioni prevalenti, quella della paura è molto frequente.
Paura del parto e paura del dolore.
Questa emozione è frequente in molte donne, in particolare lo è in quelle donne abituate a confrontarsi col dolore quotidianamente come coloro che soffrono di vulvodinia.
La Dottoressa Beatrice Danzi, ostetrica specializzata in riabilitazione del pavimento pelvico, ci spiega quali sono le accortezze di cui tener conto per preservare la salute del pavimento pelvico e poter vivere l’esperienza della gravidanza e del parto in maniera serena e consapevole.
(Domanda) Dottoressa, quando è stata la prima volta che ha sentito parlare di vulvodinia?
(Risposta della Dott.ssa Danzi) Ne ho sentito parlare per la prima volta durante il corso di laurea in ostetricia che prevede lo studio del pavimento pelvico. Anche se forse la vulvodinia non è approfondita come dovrebbe data l’estrema importanza che riveste nella professione che si andrà a svolgere. Ma questo spesso succede perché i corsi e gli esami sono tanti ed è difficile andare troppo nel dettaglio per ogni argomento.
Nel mio caso, ho avuto modo di approfondire questo argomento anche grazie a una collega che ha basato il suo lavoro di tesi proprio sulla vulvodinia e ha acceso in me l’interesse per questa patologia.
Qual è il ruolo dell’ostetrica in generale e soprattutto nel percorso di cura di una donna che soffre di vulvodinia?
L’ostetrica è per profilo professionale la figura sanitaria che accompagna la donna dall’adolescenza fino all’età senile. Contrariamente a quello che si immagina non è una figura legata esclusivamente alla maternità: ovviamente si occupa di gravidanza, di parto e di puerperio ma anche di contraccezione, di salute sessuale, di menopausa e di salute del pavimento pelvico.
Per quanto riguarda il ruolo dell’ostetrica nel percorso di cura relativo al dolore pelvico e alla vulvodinia, essa prende in considerazione la donna da vari punti di vista: ogni donna ha un lato fisico ma anche un lato emotivo, fatto di vissuti importanti, di timori, di aspettative. Prima ancora di toccare, di trattare la muscolatura, c’è una persona da conoscere e con la quale entrare in empatia al fine di costruire un rapporto di fiducia.
È fondamentale valutare la persona che si ha davanti non solo anatomicamente ma in maniera completa, comprendendo tutta la sua storia attraverso un’anamnesi sessuale, un’anamnesi ginecologica ed ostetrica, comprendendo a fondo lo stato del suo apparato urinario e gastrointestinale.
L’ostetrica parte da una valutazione approfondita e accurata per poi impostare un percorso di riabilitazione che include diverse tecniche.
E a questo proposito, vorrei sottolineare che spesso nelle varie community presenti sui social e relative al dolore pelvico mi capita di leggere quanto la parola “riabilitazione” sia associata a “manipolazione”. In realtà, la manipolazione è sì un punto molto importante della riabilitazione ma non è il solo. I percorsi di riabilitazione pelviperineale sono cuciti su misura per ogni singola paziente, non bisogna mai standardizzare.
Cosa consiglia a una donna vulvodinica che sta affrontando una gravidanza o si sta preparando ad avere una gravidanza? Ci sono delle accortezze di cui tener conto rispetto ad una donna che non presenta questa patologia?
I consigli che ritengo importanti per tutte le donne e a maggior ragione per coloro che soffrono di vulvodinia, sono tre.
Il primo è valutare bene il luogo della nascita: se si parla di reparto ospedaliero è fondamentale scegliere un punto nascita che sia davvero rispettoso dei tempi della mamma e del bambino. Molte volte la scelta delle mamme si basa quasi esclusivamente sulla vicinanza dell’ospedale da casa o sulla presenza della terapia intensiva neonatale: in realtà se la gravidanza è fisiologica e non si ha nessuna complicazione si può scegliere una struttura più piccola, solitamente con più cura del rapporto one to one, oppure scegliere l’accompagnamento della propria ostetrica per travagliare a casa e concludere il percorso insieme in ospedale, o ancora partorire a casa o in una casa maternità (opportunità supportata da evidenze scientifiche, ovviamente in caso di gravidanza assolutamente fisiologica).
Il secondo consiglio è l’assistenza dell’ostetrica che è proprio la figura consigliata in caso di gravidanza fisiologica.
Gli studi scientifici e le linee guida consigliano alle donne in gravidanza fisiologica di farsi seguire solamente dall’ostetrica mentre quando la gravidanza è patologica la nostra figura si affianca al ginecologo. Inoltre l’assistenza ostetrica riduce l’eccesso di medicalizzazione e migliora gli esiti di salute psicofisica di madre e neonato, a breve e lungo termine: il rapporto che si crea e la continuità dell’assistenza permettono di creare un percorso di salute che dura ben oltre i 9 mesi ed il momento della nascita. L’ostetrica diventa la figura di riferimento per la salute femminile, favorendo l’empowerment e dando risalto alle innate competenze di madre e bambino.
Infine, consiglierei a tutte e in particolare alle donne vulvodiniche un percorso di preparazione al parto con un’ostetrica che si occupa di pavimento pelvico. Durante questo accompagnamento si ascoltano i cambiamenti del corpo, del bacino, del perineo, si comprende come preparare quest’area, come aiutarla a dare alla luce il bebé, riducendo i traumi a carico della zona genitale e favorendo esiti migliori nel puerperio.
Oltre a ciò, si può stilare un piano del parto, ovvero una sorta di documento che la coppia compila indicando le loro preferenze per la degenza ospedaliera. Questo documento verrà consegnato compilato e firmato dalla coppia al punto nascita e dovrebbe essere preso in carico al momento dell’apertura della cartella, di modo che il reparto prenda atto delle necessità e richieste della coppia. Anche questo è un ottimo strumento di tutela.
Cosa si può richiedere in un documento simile? A quali necessità ci si riferisce?
Sono richieste relative allo svolgimento del travaglio, del parto, alle possibili eccezioni come il taglio cesareo ed il parto operativo. Ogni mamma può compilare il suo anche solamente per analizzare quali sono i suoi desideri e ciò che invece vorrebbe assolutamente evitare. È un modo per ascoltarsi e per fare presente ciò che ci si aspetta dall’esperienza che si vivrà.
Tornando alla vulvodinia, non avendo lei indicato delle nette distinzioni, immaginiamo che questa patologia non richieda necessariamente una medicalizzazione del parto più marcata, giusto?
No, non necessariamente. Anzi, più la mamma rimane in un ambiente sereno ed incoraggiante, meno viene disturbata ed ostacolata, più la nascita sarà un’esperienza positiva.
Cosa comporta il soffrire di ipertono, condizione spesso correlata alla vulvodinia, durante una gravidanza?
Durante la gravidanza non ci sono particolari condizioni legate all’ipertono anzi i problemi potrebbero addirittura ridursi perché gli ormoni della gravidanza che sono il progesterone e la relaxina tendono a rilasciare e a rendere più morbidi i tessuti. Naturalmente non è così per tutte.
E durante il parto?
Durante il parto il discorso è diverso: un pavimento pelvico rigido che non si lascia andare sicuramente è un grande ostacolo per il bimbo, quindi se il pavimento pelvico è contratto, è difficile pretendere di controllarlo e quindi di riuscire a rilasciare bene la muscolatura: il bimbo troverà una strada sbarrata che avrà difficoltà ad attraversare. Tutta questa situazione potrebbe portare ad attuare medicalizzazioni come il parto operativo, come la ventosa ostetrica oppure l’episiotomia o la manovra di Kristeller.
Cosa potrebbe fare una donna durante la gravidanza per arrivare al parto più consapevole, in particolare se soffre di vulvodinia?
Innanzitutto informarsi. L’informazione è alla base di tutto. Quindi consiglio di spendere del tempo per leggere libri e partecipare a degli incontri. Poi, un altro strumento fondamentale è il corso di preparazione al parto, poiché durante questi incontri le mamme “fanno cerchio” insieme all’ ostetrica… Non sono delle lezioni in cui l’ostetrica “si mette in cattedra” ma piuttosto incontri cooperativi: si guidano le future mamme a far nascere le proprie competenze dando informazioni, confrontandosi, lavorando fianco a fianco.
Per le donne con vulvodinia e/o con dolore pelvico è sempre fondamentale l’informazione a patto che non sia orientata alla paura! L’informazione deve rendere consapevoli di quello che succede per poter arrivare al parto in maniera serena.
Le donne sono capaci di partorire e i bimbi sono capaci di nascere se gliene si dà la possibilità. La mamma che arriva al parto con informazione e determinazione è una mamma che vive molto diversamente questa esperienza rispetto a una mamma che arriva spaurita, ignara di ciò che l’aspetta e che delega tutto ai sanitari senza essere lei al centro del suo percorso.
I tradizionali corsi di preparazione al parto sono idonei per chi soffre di vulvodinia o è necessario integrare dell’altro?
Per le donne con problematiche a livello perineale sarebbe molto importante seguire un corso di preparazione al parto con un’ostetrica esperta di pavimento pelvico perché questo manca nei corsi preparto. È fondamentale aiutare le future mamme a entrare in contatto con il loro pavimento pelvico.
Infine nell’ultimo trimestre sarebbe molto importante lavorare proprio sui concetti di “accogliere”, “lasciare andare”, “fare spazio” e sulle tecniche per elasticizzare i tessuti. Altrettanto importante è lavorare con la voce e con il respiro per prepararsi ad affrontare il dolore delle contrazioni e instaurare un contatto con il perineo, per educarlo a seguire “le onde” tipiche del travaglio.
C’è una tipologia di parto consigliata per una donna vulvodinica?
No. La letteratura scientifica non ci dà dati in merito quindi tutto quello che viene consigliato alle donne parte dall’esperienza del medico che le segue.
Non c’è un parto migliore o peggiore, infatti non è consigliabile indirizzare al cesareo le donne vulvodiniche, senza se e senza ma. Andrebbe fatta una valutazione circolare, instaurato un confronto con la futura mamma e poi darle modo di scegliere in piena consapevolezza.
Di certo un parto vaginale medicalizzato può favorire un’ulteriore problematica ma il primo fattore di rischio per la salute pelviperineale rimane la gravidanza in sé.
Sottolineo anche che c’è un’enorme differenza fra il parto vaginale e il parto naturale. Il parto naturale è un parto dove nessuno mette mano, se non per accogliere il bimbo quando esce. La mamma è libera di stare nelle posizioni che vuole, nessuno le impone nulla.
Il parto vaginale è un parto in cui il bimbo attraversa il canale vaginale ma non esclude possibili medicalizzazioni di vario tipo, come la posizione litotomica, la spinta in apnea, etc. Questo tipo di parto è certamente vaginale ma non naturale.
Una donna vulvodinica è spesso già abituata a un’estrema medicalizzazione fra farmaci, visite, terapie, esami e questo rischia di far dimenticare tutta la naturalezza del processo naturale della gravidanza.
E’ consentito avere la propria ostetrica di riferimento durante il parto? Come funziona negli ospedali questa pratica?
L’ostetrica libero professionista prende in carico la coppia dalla gravidanza, possibilmente entro l’inizio del terzo trimestre. La stessa ha la possibilità di seguire le prime fasi del travaglio a casa per poi accompagnare la donna in ospedale. Solitamente l’ostetrica può stare accanto alla coppia in sala parto fino alla nascita del bimbo. Questo però purtroppo non è consentito ovunque: esistono regioni e ospedali in cui non viene accettato che l’ostetrica entri in sala parto o dove la mamma è costretta a scegliere chi avere al proprio fianco, se il proprio compagno o l’ostetrica. In Toscana, ad esempio, per citare una delle regioni in cui ho operato, non ho mai avuto alcun problema di questo tipo: mi hanno sempre permesso di entrare in sala parto con la coppia che seguivo e addirittura in sala parto per cesarei. Dipende molto dalle zone.
L’attuale emergenza sanitaria ha creato delle limitazioni?
Ovviamente l’emergenza Covid-19 ha limitato questa possibilità ma nulla vieta di iniziare il travaglio a casa con la propria ostetrica per poi andare in ospedale.
Per legge la mamma ha il diritto di avere sempre una persona al proprio fianco, è un diritto garantito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Il parto in casa è consentito in Italia?
In Italia è previsto il parto a domicilio o in casa maternità, ovvero strutture gestite da ostetriche libere professioniste in cui la donna può partorire e fermarsi per alcune ore dopo il parto.
Come funziona?
La donna (la coppia) che sceglie di partorire in casa contatta un team di ostetriche libere professioniste che hanno una formazione specifica per questo tipo di parto e come primo passo viene valutato lo stato di salute di mamma e bambino poiché la condizione che dev’essere verificata per poter accedere a un parto a domicilio è quella di avere una gravidanza totalmente fisiologica.
Chiaramente il team di ostetriche è anche preparato a gestire un’eventuale emergenza quindi non ci si approccia al parto a domicilio con improvvisazione ma si viene accompagnati da persone con una formazione precisa in merito, equipaggiate di farmaci e presidi di emergenza per poter intervenire in attesa di eventuali soccorsi.
C’è comunque una distanza massima da garantire dall’ospedale più vicino ma non è necessario avere un’ambulanza sotto casa come molti pensano.
Se durante il parto va tutto bene, la donna e il neonato restano a casa: le ostetriche sorveglieranno la neo-mamma nel post partum e un neonatologo visiterà il neonato nelle ore immediatamente successive alla nascita per eseguire tutti i controlli previsti dalle linee guida e monitorare lo stato di benessere materno-infantile.
Il parto in casa è una scelta che si può condividere o non condividere ma non bisogna confondere l’opinione con la letteratura scientifica: essa infatti ci dice che per la gravidanza fisiologica il parto in casa è sicuro come il parto in ospedale.
Se durante il parto ci sono state lacerazioni cosa è consigliato fare per rimettere in sesto il pavimento pelvico ed evitare ripercussioni sulla patologia?
Normalmente dopo circa 6/8 settimane dal parto, bisogna fare una valutazione funzionale del pavimento pelvico.
Se è stata fatta l’episiotomia o in caso ci siano state lacerazioni, nei primi giorni dopo il parto è necessario controllare la sutura con l’ostetrica e tenere sotto controllo quella zona dopo un trauma così importante. Sarebbe opportuno tenere la parte asciutta il più possibile e limitare l’uso degli assorbenti. Inoltre si consiglia di utilizzare ghiaccio e/o rimedi naturali per evitare la formazione di edema e tenere sgonfia la ferita. Si possono utilizzare farmaci in caso di dolore. Le prime settimane è fondamentale riposare e non sovraccaricare la zona. Non bisogna mai pretendere troppo dal proprio corpo a maggior ragione nel periodo che segue il parto.
Grazie Dottoressa per la sua chiarezza e la sua disponibilità! Siamo sicure che i suoi consigli aiuteranno le donne a vivere quanto più positivamente e serenamente questo percorso così importante.